NON DIMENTICATE DI LAVARVI LE MANI – SPESSO!

Negli ultimi due anni, questa massima è diventata più che familiare in tutto il mondo. Un’istruzione che prima era confinata per lo più ai bambini e alle persone che lavorano nel settore sanitario e in un paio di altre professioni sensibili è diventata rapidamente un imperativo globale. Ancora più notevole, sembra che ci siano state poche manifestazioni pubbliche di protesta contro questo messaggio coercitivo. Ma in Italia la frase “mani pulite” riverbera molto più di un comando legato a COVID. Sono passati esattamente 30 anni (del 17 febbraio 1992) da quando l’inchiesta, condotta dal magistrato Antonio di Pietro, sulle relazioni corrosive tra politici, funzionari pubblici e criminalità organizzata ha mostrato quanto profondamente il corpo pubblico italiano fosse devastato da un cancro autogenerato. Poco dopo quella data di febbraio, gli altri eroici magistrati, Falcone e Borsalino, furono assassinati in Sicilia dalla mafia. Il messaggio non poteva essere più chiaro: non interferite con la nostra forma di igiene.

Lo scorso fine settimana, il supplemento domenicale (“L’Espresso”) del quotidiano “La Repubblica” ha riassunto i risultati di un sondaggio realizzato da DEMOS e Per Libera sulle opinioni della popolazione italiana se le cose siano migliorate o meno nei decenni successivi al dramma di Mani Pulite. Forse non sorprende che le opinioni siano state decisamente scettiche. In generale sembra che la gente non creda che gli innumerevoli processi penali, i cambiamenti dei funzionari pubblici, le leggi contro la corruzione, l’istituzione dell’ANAC (l’Agenzia nazionale contro la corruzione) e varie altre misure siano state in grado di effettuare una pulizia adeguata delle cose sporche. Forse in parte questa visione è guidata dal piacere perverso che gli italiani sembrano provare nel vedersi non solo come i migliori in tutto (“Eccellenza e Qualità” è effettivamente l’inno nazionale del paese) ma anche come i peggiori (per quanto riguarda la corruzione, l’immagine italiana di “essere i peggiori” non è lontanamente vicina alla verità). In parte anche il pessimismo può derivare da un profondo scetticismo che i cambiamenti guidati dal governo possano portare a risultati fortemente positivi. E può anche venire dalla comprensibile e corretta percezione che nuove opportunità per le famose PPPC (Public Private Partnerships in Corruption) sorgono costantemente – COVID stesso e il PNR sono solo gli ultimi, e certamente tra i più succulenti, esempi di nuove opportunità.

Come per inciso, la combustibilità della corruzione è stata ulteriormente alimentata dalla pubblicazione, negli ultimi mesi, di tre libri chiave relativi alla Magistratura. L’anno scorso, Andrea Sallusti e l’ex presidente del Csm, Luca Palamara, hanno pubblicato le loro conversazioni su “Il Sistema”. A questo è seguito nelle ultime settimane un secondo avvincente libro dello stesso duo intitolato “Lobby e Logge”. Nel frattempo, la fine del 2021 ha visto la pubblicazione dei risultati di un’altra conversazione schiacciante, questa volta tra l’eccezionale giornalista ed esperto di mafia, Saverio Lodato, e il magistrato Nino di Matteo, dal 2019 membro del CSM e che vive sotto scorta ormai da quasi 30 anni a causa dei suoi processi contro i mafiosi nel 1993 e dopo. Il titolo di questo libro “I Nemici della Giustizia: Magistratura, Politica, Economia: Chi non Vuole una Giustizia Uguale per Tutti” è onnicomprensivo e di per sé una descrizione sconvolgente della realtà italiana così come la percepisce uno dei maggiori magistrati del paese.

Le delizie culinarie italiane, giustamente famose, raramente portano all’indigestione. Ma il cibo servito in campo politico può portare a casi acuti di sovrapproduzione e sovraconsumo. Infatti, come se non bastasse lo straordinario trio di libri appena descritto, negli ultimi giorni il governo ha pubblicato il nuovo disegno di legge sulla Riforma della Giustizia. Commentando il contenuto di questo documento, il ministro della Giustizia, Marta Cartabria, ha sottolineato la volontà di porre fine al “sistema delle porte girevoli” (la pratica europea che ha fatto sì che, una volta entrati nel sistema, nessuno abbia più bisogno di uscirne, potendo andare e venire a piacimento dagli incarichi legali, politici, amministrativi e dalla pratica privata, tutte le volte che lo trova vantaggioso), e di modificare il modo in cui vengono scelti i membri del CSM. Sono obiettivi lodevoli. Ma non sono lontanamente sufficienti in Italia oggi.

Così ci troviamo, esattamente tre decenni dopo l’inizio di Mani Pulite, in una situazione al calor bianco in cui voci molto autorevoli e riccamente informate si esprimono pubblicamente sia sulle loro percezioni di un deterioramento progressivo sostenuto di uno stato di cose già spaventoso (o, forse meglio, delle cose dello Stato), sia sulle misure disperate per arginare lo tsunami. Cerchiamo di essere chiari. Questa non è una discussione sulla criminalità in corso in Italia, anche se questo è certamente un problema rilevante. Già nel 2006 Roberto Saviano, nel suo classico reportage sul campo contenuto in “Gomorra”, aveva spiegato come le operazioni criminali assicurassero una continua estrazione dall’economia e una continua imposizione di costi finanziari e sociali alla società italiana. Nessuno deve essere ingannato: questa non è stata rimossa, anzi ha dimostrato la sua resilienza e adattabilità. No, stiamo parlando della cancrena nel cuore del cosiddetto “normale funzionamento dello Stato”. L’onorata separazione degli organi esecutivi, giudiziari e legislativi dello Stato esiste in Italia solo in un senso molto parziale e danneggiato. Nel suo libro del 2018, “Invano: Il Potere in Italia da de Gasperi a Questi Qua”, Filippo Ceccarelli lo annuncia. Il potere è il nome del gioco, e chi gioca seriamente farà di tutto per ottenerlo, conservarlo e usarlo a proprio vantaggio e a quello dei propri clienti/finanziatori.

Fu Lenin che pose notoriamente la domanda “Che cosa si deve fare? “ Nel caso della Russia sappiamo cosa è stato fatto, e le conseguenze che ha portato (vividamente con noi oggi in Ucraina e, nel caso l’abbiate dimenticato, in Bielorussia e Kazakistan). La nozione di “rivoluzione non violenta” sembra essere la linea proposta dal Giudice di Matteo. Nella sua risposta alla prima domanda posta da Lodato, cioè se pensa che il lemma “Solo chi cade può risorgere” sia oggi applicabile alla Magistratura, la risposta di Di Matteo è devastante: “Ne sono certo. Il re e nudo. Minimizzare, tentare di ricondurre gli scandali emersi negli ultimi anni agli appetiti di poche mele marce, sarebbe un errore imperdonabile e fatale.” Se mai c’è stata una richiesta di “cambiamento radicale”, è questa.  Eppure, in un altro degli infiniti paradossi che attraversano il panorama politico italiano, sarebbe certamente sbagliato pensare che tutti i magistrati debbano essere asfaltati con il pennello della corruzione. Come sottolinea Di Matteo, poche righe dopo la citazione di cui sopra, non meno di 28 magistrati sono stati assassinati in Italia nell’arco di tempo di cui stiamo parlando. Secondo me, tra i paesi europei che si considerano “democratici”, non c’è luogo in cui la magistratura abbia pagato un prezzo più alto.

Palamara, nel suo mea culpa, si preoccupa anche di sottolineare che nella magistratura ci sono persone con valori e attegamenti di vario tipo.  Che lui stesso non sia in alcun modo l’unico ad essersi concentrato sul “sistemare le cose” (mediazione, se si preferisce un termine più gentile) è annunciato dal titolo del primo libro – abbiamo a che fare con un “sistema”, e non con un insieme di istanze o persone vagamente collegate. Ciononostante, molti magistrati stanno cercando di fare il meglio che possono, e di rendere giustizia nel modo in cui credono veramente che sia nello spirito della legge. Assumendo che le valutazioni di Di Matteo e Palamara siano corrette, vale a dire che la situazione è meglio vista come una situazione in cui piccoli gruppi hanno una leva consolidata su un numero maggiore di persone meno organizzate ed eticamente responsabili, quali passi sono necessari per avere una possibilità realistica di rovesciare l’attuale (e a lungo esistente) equilibrio di potere?

Per Di Matteo, il rinnovamento deve venire dall’interno. Dicendo questo, egli segue la lunga dottrina della professione legale, che sostiene che solo essa deve pulire la propria casa. Questo è simile all’approccio dei “codici di condotta” così cari al cuore (e alle tasche) di coloro che operano in innumerevoli settori dell’economia e della società. Si dice “abbiamo fatto degli errori, lasciate a noi il compito di migliorare le cose”. Questa esclusività non ha evidentemente funzionato in così tanti aspetti degli affari e della politica in tutto il mondo che non dovrebbe essere necessario ripetere il messaggio. Ma a quanto pare lo è. Di Matteo mette la sua posizione in modo poetico: “Dobbiamo ritrovare la bellezza, il fresco profumo della volontà di rendere giustizia, cercando la verità, tutelando la nostra autonomia, indipendenza e imparzialità da ogni tentativo di condizionamento che sia esterno o interno al nostro stesso ordine”. Come ideale, questo è impeccabile. Se tutti i magistrati, non solo in Italia ma nel mondo, fossero fatti dello stesso carattere di Di Matteo, le cose andrebbero bene. Il problema è che non lo sono. In un insieme di società (l’Italia) dove le geografie e le storie sono quelle che sono, le pressioni sui magistrati sono immense. Diventare magistrato in Italia è quasi simile alla decisione di un primo cristiano di diventare un divulgatore della fede. Si è scelto un percorso pericoloso, alla fine del quale la scelta potrebbe diventare “sottomissione” o martirio.

Non c’è modo che queste “condizioni quadro” possano essere alterate interamente dall’interno. Sono necessarie forti forze esterne per rimodellare l’ambiente. Sfortunatamente, queste “forti forze esterne” sono in sostanza i poteri dello Stato stesso. E questo Stato prende la sua forma nei suoi governi composti da politici. Siamo di nuovo al punto di partenza, o il circuito apparentemente vizioso può essere spezzato?  Io credo che la rottura del circuito sia possibile. Deve arrivare, non tanto attraverso un rinnovamento dell’etica per gli avvocati (anche se questo è altamente auspicabile, dato che attualmente è il denaro che comanda), ma attraverso una nuova serie di requisiti per i politici. Attualmente l’asticella per “diventare un politico” è estremamente bassa, anzi esiste a malapena. Le dichiarazioni di interessi (come richiesto in Italia e in tutta Europa, compreso il Parlamento europeo) attualmente servono a poco o niente. Anzi, abbondano gli incentivi di ogni tipo per coltivare i conflitti di interesse. Fare il politico diventa infatti un’attività in cui l’individuo cerca di soddisfare innumerevoli interessi, a cominciare dal proprio, seguito da quelli di persone/enti a lui vicini – gli elettori e quella cosa nebulosa chiamata “l’interesse pubblico” figurano solo di nome. Sono comodi da menzionare nei discorsi o nella pubblicità politica, ma non giocano praticamente nessun ruolo nella maggior parte delle situazioni.

Ne consegue che, mentre il CSM e i magistrati in generale sono attualmente nell’occhio del ciclone, molto probabilmente ci stiamo concentrando sull’obiettivo sbagliato. Il vero problema è il comportamento dei politici e dei gruppi politici. Durante tutto il governo Draghi, i politici hanno fatto poco se non chiedere il ritorno alla “vera politica” e alle urne elettorali. Nessuno, per quanto ne so, ha offerto proposte serie su cosa si potrebbe fare quando ci sarà una tale situazione (presumibilmente, tra circa un anno). Di fatto, il tandem Draghi/Mattarella opera in sostanza per assicurare ai politici italiani il denaro europeo che permette loro di ingrassare più proficuamente le loro operazioni. Entro il 2023 l’aspettativa è che quei flussi di denaro siano ben avviati, quindi per allora le persone che hanno fatto da garanti diventano superflue. I cambiamenti sottostanti possono allora essere ignorati, e tutti possono tornare a seguire la lezione di Lampedusa, cioè assicurarsi che nulla sia effettivamente cambiato.

Se c’erano coloro che credevano che ci sarebbe stato un miracoloso agente di pulizia, chiamiamolo il “Detergente Draghi”, che avrebbe in qualche modo permesso una purificazione su larga scala, allora devono essere disillusi. Una tale sostanza non è mai stata pensata per essere sviluppata, e non lo è stata.  Un cambiamento su macroscala non è mai stato all’ordine del giorno. Invece, abbiamo quello che gli architetti chiamerebbero un adattamento a un vecchio edificio dove i problemi strutturali non sono stati affrontati. Molti sono consapevoli di ciò che è veramente necessario, ma nessuno è lanciato su questa strada. Quindi la maggior parte ripiegherà su cose che loro stessi possono fare per l’autoconservazione. E in cima a quell’agenda dovrebbe esserci, almeno per un po’, l’obbligo di lavarsi le mani – regolarmente.

PETER O’BRIEN – 17 February, 2022

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